Le vicende del Comune
Il ruolo centrale che la città di Ravenna aveva avuto nei traffici e nella vita politica della tarda antichità (fino all’VIII secolo) venne rapidamente meno tra l’VIII e il IX secolo. La città rimase al di fuori del flusso di commerci internazionali che facevano sempre più spesso capo a Venezia, via mare, e che, nell’entroterra, scorrevano sulla via Emilia, comunque marginale alle terre ravennati.
La vita politica ed economica cittadina si coagulò allora attorno agli arcivescovi ,capi dell’ancora prestigiosa Chiesa di Ravenna e supposti eredi degli esarchi, che legarono la propria autorità alla fedeltà all'impero. Il potere ecclesiastico, che dopo il Mille assunse sempre più spesso caratteri temporali e feudali, portò così alla creazione di una classe di aristocratici laici investiti di proprietà terriere in cambio di prestazioni militari o assistenza giudiziale.
Durante il lungo periodo di vacanza della sede arcivescovile ravennate agli inizi del XII secolo, però, le principali famiglie aristocratiche diedero origine
nel 1109 alle prime strutture comunali, con la creazione di un consiglio in cui tutte le casate più importanti erano rappresentate.
Tra queste la famiglia principale fu senza dubbio quella dei Traversari, i cui rappresentanti ed alleati ricevettero spesso la carica di podestà cittadino nel quarantennio a cavallo tra la fine del XII secolo e l’inizio del successivo.
Nel frattempo le milizie ravennati si trovarono spesso a fronteggiare l’erosione territoriale portata avanti dai comuni limitrofi, tra cui soprattutto Faenza e Ferrara, ma anche Forlì, Rimini e Venezia (quest’ultima soprattutto tesa al controllo della produzione del sale a Cervia), con risultati spesso poco brillanti e per lo più conservativi.
Poi nel 1239 infatti, sotto la guida di Paolo Traversari, la città passò dalla parte papale nel conflitto che opponeva l’imperatore Federico II di Svevia al Papato.
La prima e più grave conseguenza fu l’assedio e l’occupazione militare compiuti dall’Hoenstaufen nel 1240, ma in seguito aumentò il potere papale fino alla
cessione nel 1278 delle terre esarcali allo Stato della Chiesa da parte del Re dei Romani Rodolfo d’Asburgo in vista di una consacrazione imperiale che in realtà non ricevette mai.
L'ascesa dei Da Polenta
Il radicamento a Ravenna della
famiglia Da Polenta, che deve il nome all’omonimo castello nella zona di Bertinoro dove controllava estesi possedimenti terrieri, è da far risalire all’ultimo quarto del Duecento, in concomitanza con gli ultimi Traversari, con i quali probabilmente erano imparentati e dei quali erano stati sostenitori.
Dopo aver ricoperto in origine il ruolo di dipendenti delle chiese cittadine e poi di funzionari degli arcivescovi, avevano acquisito gradualmente un significativo peso nella politica comunale, tanto da permettere finalmente a
Guido “Minore” di ottenere nel 1275 la signoria della città.
Grazie ad aiuti da Rimini, Guido fu in grado di impossessarsi della propria città, estendendo poi il proprio potere su Comacchio e, nel 1282, su Cervia.
Come d’uso per l’epoca, l’alleanza politica venne ribadita da un matrimonio, destinato, ad assurgere a imperitura gloria: a Giovanni (detto Gianciotto) Malatesta venne data in sposa la figlia di Guido Minore,
Francesca, colei che gli splendidi versi danteschi immortaleranno nel canto V dell’Inferno assieme al cognato Paolo.
Il prestigio politico dei polentani è testimoniato in questi anni sia dalla crescente ostilità di Roma nei loro confronti, manifestata dall’arcivescovo della città, sia dai prestigiosi incarichi di podestà che ricoprirono in alcune delle maggiori città d’Italia (Firenze e Milano ad esempio).
L'apogeo e il declino
Tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento, prima Guido Minore, poi i suoi figli Bernardino (fino al 1313) e Lamberto (fino al 1316) ed infine il figlio di quest’ultimo, Guido Novello (fino al 1322, morto nel 1330), si fecero eleggere alla carica di podestà per diversi anni consecutivi rendendo la carica podestarile quasi appannaggio ereditario della famiglia.
Nel frattempo, proprio sotto il governo di Guido Novello, si cercò di istituire una corte che potesse elevarsi rispetto al passato sul piano culturale e almeno aspirare a competere con le città più vicine. È da far risalire a questo periodo
l’arrivo e la permanenza di Dante nella città romagnola, dove poté finalmente trovare un poco di pace dopo le peregrinazioni successive al suo esilio da Firenze nel 1302.
Nel 1322, poi, mentre Guido Novello si apprestava a tornare a Ravenna dopo aver ricoperto l’incarico di Capitano del Popolo a Bologna, il cugino Ostasio, per impossessarsi della signoria, imprigionò ed fece uccidere l’arcivescovo Rinaldo, fratello di Guido e da questi lasciato a capo della città.
Da questo momento la storia dei Da Polenta si tinge di sangue: dopo la morte di Rinaldo, Ostasio istigò una rivolta a Cervia, allora retta assieme allo zio Bannino, e quando questi si fu rifugiato a Ravenna con il figlio Guido, li fece assassinare entrambi, ottenendo così il pieno controllo della città adriatica.
Della stessa pasta del padre fu il figlio e successore di Ostasio (morto nel 1346), Obizzo Da Polenta, che rimase unico Signore della città dopo aver lasciato morire di fame nel 1347 i fratelli Lamberto e Pandolfo.
Nella seconda metà del XIV secolo, però, la signoria polentana vide sempre più ridimensionato il proprio potere, sia economico che territoriale.
Infatti, oltre alla pressione del Papa, sempre più invasiva si era fatta la presenza veneziana in terra di Romagna.
La città lagunare controllava ormai l’intero traffico adriatico e fluviale, mentre un’acuta politica commerciale aveva permesso alla città di San Marco di assicurarsi anche significative percentuali della produzione di derrate alimentari e soprattutto del sale di Cervia.
Così dopo Obizzo, morto nel 1359, neppure Guido III, lasciato morire in carcere dai figli nel 1389, seppe far fronte al declino politico ed economico cui Ravenna e il suo contado andavano incontro.
Preda di Venezia
Al pacifico e benevolo Guido III succedettero assieme i sei figli Azzo († 1394), Ostasio II († 1396), Bernardino II († 1400), Pietro († 1403), Aldobrandino († 1404) e Obizzo II († 1431).
Quest’ultimo, dopo la morte dei fratelli rimasto Signore della città, ne fu anche l’ultimo effettivo governante.
Quando nel 1406 richiese l’invio di un podestà veneziano per assicurare la protezione per sé e per i suoi figli, promise il proprio stato alla Serenissima in caso di assenza di eredi legittimi alla sua morte.
Tali accordi, sanciti da un vero e proprio testamento datato 1409, prevedevano, alla morte del Signore, l’invio di un protettore veneziano a tutela della famiglia: la Repubblica di Venezia non mancò di farli valere quando nel 1431 l’unico erede del Da Polenta, Ostasio, era ancora minorenne.
Il controllo della città, però, rimaneva ancora formalmente del nuovo Signore che andò cercando un’occasione per liberarsi del giogo veneziano.
Così, non appena il condottiero Nicolò Piccinino si fu affacciato in Romagna nel 1438 dopo la conquista di Bologna per conto dei Visconti, il Signore ravennate passò dalla parte dei milanesi, tenaci oppositori della politica espansionistica veneziana.
La risposta della Serenissima fu repentina ed estremamente efficace: una spedizione militare venne immediatamente inviata a Ravenna che fu facilmente conquistata e
annessa ai territori della Repubblica per acclamazione popolare il 24 febbraio 1441.
Era la fine della Signoria dei Da Polenta, che durava da più di un secolo e mezzo ma che in quel lasso di tempo non era riuscita a imprimere alla città sufficiente slancio per elevarsi al livello di molte altre città limitrofe.
Al contrario, i veneziani si dedicarono alacremente allo sviluppo dell’economia cittadina, poiché Ravenna rappresentava un punto nevralgico dei loro progetti di penetrazione territoriale in Romagna e un valido caposaldo per opporsi all’espansione viscontea.
Così fu sotto insegne “straniere” che Ravenna rivisse, anche se non per lungo tempo, una nuova stagione di fervore, arricchendosi di nuove costruzioni (come l’attuale Palazzo Comunale, o la Rocca Brancaleone, realizzata nel 1457 in realtà per controllare la città più che per difenderla), prima di ritornare sotto il diretto controllo papale.
Il destino della città romagnola rimase da allora quello di guardare ai propri monumenti bizantini come ai resti di una grandezza mai più recuperata.